Riorientarsi nella crisi
di Francesco Occhetta
In politica le crisi sono fisiologiche e non patologiche, ma per superarle occorre distinguere il merito, il metodo e le intenzioni che le nutrono. L’alleanza di governo, nata contro le elezioni anticipate, non si è trasformata a favore di un progetto comune. È mancata la volontà di dialogare se pensiamo che i leader politici si sono seduti una sola volta insieme.
Nel merito Italia Viva ha “gridato” alcuni punti legittimi da chiarire come ad esempio il Mes per rilanciare la sanità, mentre il Pd li ha solo sussurrati. Nel metodo però la scelta di ritirare la propria rappresentanza di Governo contraddice il merito di migliorare ciò che si chiedeva. Per questo rimane un’incognita comprendere per l’opinione pubblica le intenzioni morali che hanno ispirato la scelta. Il Paese ne esce indebolito, bastava raccogliere l’invito del Presidente Sergio Matterella per ritrovare l’unità nel rispetto delle differenze.
L’azione di governo si è indebolita, mentre il mondo cattolico può essere enzima per ricomporre la crisi. Ha il compito di custodire il metodo democratico, ispirare il Recovery plan attraverso un nuovo modello di sviluppo integrale, riconciliare le tensioni tra credenti impegnati in politica, dare speranza senza alimentare le paure. È in gioco il futuro del Paese.
Nel 1959 Moro aveva parlato di “convergenze parallele”, un ossimoro per dire che due o più partiti convergono su alcuni punti di programma, mantenendo una distanza nella linea politica. Ogni crisi porta con sé dolore e costi, ma potrebbe essere la via possibile per salvare il Paese. La politica di questi ultimi venticinque anni è arrivata al capolinea con gli stratagemmi individuali, le pulsioni antidemocratiche e l’attesa messianica dell’uomo forte.
Non sarà questo l’urlo silenzioso di una società che ha perso la propria bussola spirituale interiore? I valori e i sogni, i beni comuni e la cooperazione nascono dalla costruzione di legami di fiducia nelle istituzioni e non dalla competizione del tutti contro tutti. I partiti hanno ribaltato le loro radici che dalla popolazione si sono spostate nelle istituzioni. Sicuramente mancano regole certe e moderne con cui giocare la partita politica – come la sfiducia costruttiva, una Camera delle Regioni e così via -, ma si sente l’urgenza di investire sulla qualità della classe dirigente.
Anche il ruolo dei credenti nello spazio pubblico è sempre più decisivo e ha la funzione del lievito, non per difendere rendite o posizioni, ma idee e visioni. Lo hanno recentemente ribadito anche Azione Cattolica, Fuci e Meic. Il metodo e la mediazione politica – che la cultura populista ha umiliato – sono le condizioni per ritornare ad abitare gli enti intermedi. È in quello spazio relazionale tra i singoli e lo Stato che l’“io” personale si trasforma nel “noi” sociale.
I costituenti cattolici lo hanno lasciato in eredità al Paese: si tratta di un’antropologia positiva in cui è possibile rispettare chi governa e allo stesso tempo considerare l’altro un valore e un bene prima che un pericolo e un nemico. Nella vita sociale, attraverso la sussidiarietà, la collaborazione vince sulla competizione e l’emergenza ritornando ad essere progetto. Questa memoria è andata perduta; per quale motivo altrimenti il Paese non è riuscito a trovarsi intorno ad un’unità nazionale per gestire il dramma dell’epidemia e la conseguente ricostruzione?
Kierkegaard paragonava la crisi di una civiltà a una nave in cui chi comanda è il cuoco di bordo e le parole che questi trasmette dal megafono del comandante non riguardano più la rotta ma il menù del giorno. È l’immagine di un Paese i cui rami non stanno più producendo frutti di futuro. Si preferisce ascoltare il cuoco per sopravvivere al quotidiano anziché sforzarsi insieme di ritrovare la rotta: questa dinamica sociale genera un’insicurezza diffusa.
La politica, sempre più connessa a livello globale, ha in agenda anche la gestione delle disuguaglianze da cui dipendono lavoro, cure sanitarie ed educazione. Anzi, per i sociologi, se i ricchi diventeranno sempre più ricchi e il resto della popolazione sempre più povera, il pericolo di rivolte sociali sarà dietro l’angolo. Su quali princìpi allora occorre fondare la convivenza sociale e politica? Su quelli di efficienza e di utilità? O anche su quelli di solidarietà e di giustizia? È tipico delle politiche deboli, che adottano narrazioni forti e univoche, imporre stili di vita e modi di conquistare un potere illusorio.
Sento in coscienza di poter dire ai giovani che è giunta l’ora di impegnarsi: delegare o disinteressarsi non possono essere considerati il modo per rimanere spensierati o per liberarsi dai conflitti sociali e politici. Ci sono luoghi ed esperienze, come ad esempio Comunità di Connessioni, che sono aeroporti per decollare insieme ed assumersi responsabilità. La sapienza della Chiesa definisce la politica come la più alta forma di amore, mentre la Scrittura ricorda che “vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti, 20,35).
Servendo nella vita pubblica e custodendo la democrazia, i cui pilastri sono la giustizia, la solidarietà e la pace, possiamo fare esperienza del centuplo quaggiù.
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