domenica 21 marzo 2021

Ilaria Alpi, 27 anni dopo: una verità scomoda. Una verità "sepolta".

 

 


 

Il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, la giornalista Ilaria Alpi e l’operatore televisivo Miran Hrovatin, inviati dal Tg3 per documentare la guerra civile somala, vengono freddati a colpi di kalashnikov mentre percorrono a bordo di un fuoristrada la zona nord della città.

Ilaria stava seguendo una pista molto delicata riguardante un traffico di rifiuti tossici e di armi tra l'Italia e la Somalia attraverso le cosiddette navi dei veleni, partite dal nostro Paese e arrivate in Somalia. Aveva senza dubbio scoperto scomode verità: documenti e testimonianze di alcuni pentiti lo provano. Eppure nessuno ha avuto il coraggio di processare i colpevoli: in carcere è finito soltanto un miliziano somalo, che sta scontando 26 anni, ed è innocente.

 

Ventisette anni senza una verità che, tra polemiche, omissioni, depistaggi, pare allontanarsi irrimediabilmente.

Pochi punti fermi, un solo condannato, tra mille dubbi e tante lacune.

Quella strada, la Garoe-Bosaso, costruita dagli italiani, è avvolta da numerosi misteri; una strada che, come diceva Ilaria, inizia dal nulla e finisce nel nulla; un nastro d’asfalto di circa 450 chilometri lungo il quale, molto probabilmente, si cela un enorme smaltimento di rifiuti tossico-nocivi.

Nell'estate 2005, l’Associazione Ilaria Alpi, insieme con Famiglia Cristiana, l’onorevole Mauro Bulgarelli e l’inviato speciale della Somalia presso l’Unione europea, Yusuf Mohamed Ismail, avevano effettuato una spedizione in Somalia, proprio per analizzare alcuni punti del terreno lungo il percorso, e il magnetometro aveva confermato la presenza nel sottosuolo di metallo. 

 

Eppure tutto è fermo, nulla sembra destare più alcun dubbio, alcuna perplessità su quanto la povera Ilaria avesse scoperto prima di finire ammazzata. Sì, ammazzata.

Pochi giorni prima della sua morte, intervistò il sultano di Bosaso, Abdullahi Mussa Bogor, un personaggio controverso che risulta essere uno dei testimoni chiave dell’indagine sulla morte della giornalista. Un'intervista durata probabilmente più di 2 ore ma di cui sono arrivati a noi solo una decina di minuti.

Bogor, dopo la morte o Ilaria, rilasciò una serie di dichiarazioni ambigue, cambiando più volte la versione dei fatti e contraddicendosi, dimostrando così di essere un teste poco attendibile, ma probabilmente ben informato su alcune circostanze dell’omicidio.

Perché la morte di Ilaria e il suo collega non fu certamente un caso, una sorta di attentato terroristico, frequente in certe zone, come molti hanno tentato di sostenere.

No, Ilaria doveva essere eliminata perché sapeva troppo, forse tutto.

 

La madre, ormai scomparsa da qualche anno, ha sempre sostenuto che la verità non sarebbe mai venuta a galla perché dietro ci sono troppi interessi, troppi nomi, troppi scandali. Cose che è meglio non sapere, nomi che è meglio non dire.

Io, durante una serie di interviste al pentito Carmine Schiavone, persona informata dei fatti, ho potuto ascoltare, meditare...e quanto è venuto fuori è davvero una montagna di fango, sterco e menzogna.

Non mi fermerò, non lascerò che il sacrificio di Ilaria venga cancellato o, addirittura, mascherato. Non lascerò che la memoria diventi labile e che gli squallidi "innominati" continuino ad avere potere: la verità spesso fa paura, ma è l'unica strada percorribile per vivere con coscienza e dignità.

 

On. Antonio DEL MONACO

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