martedì 20 dicembre 2016

Intervento del segretario nazionale Lorenzo Cesa al Consiglio Nazionale Udc


Cari amici, care amiche del consiglio nazionale,
cari segretari provinciali e dirigenti del partito,

buongiorno a tutti e grazie per essere venuti.
La vostra presenza così numerosa è la prova di quanto sia importante, secondo me decisiva, questa nuova fase che si sta aprendo per la politica italiana e per noi.
Siamo ad un cambio di sistema, molto più profondo di quello che si sarebbe determinato se avessero vinto i sì al referendum.
Se avessero vinto i sì, si sarebbe rafforzato e cristallizzato un sistema di potere chiuso ed autoreferenziale che avevamo già sperimentato nei tre anni precedenti. Ci saremmo tenuti Renzi, un Renzi ancora più padrone assoluto, e ci saremmo tenuti il suo metodo di gestione del potere chiuso sugli amici e gli amici degli amici.
Per cui non sarebbe cambiato molto rispetto a quello che avevamo visto negli ultimi tre anni.
Lo stesso film, ancora più senza freni, sarebbe andato in onda per chissà quanti anni ancora.
Sarebbe cambiato molto – e in peggio secondo noi – sul piano delle garanzie democratiche di questo Paese, perché con quella riforma costituzionale e con una legge elettorale come l’Italicum che Renzi non avrebbe mai cambiato se avesse vinto il sì, ci saremmo ritrovati con un padre-padrone della Repubblica.
E noi, che pure avevamo provato a dare fiducia al governo Renzi, noi che pure avevamo fatto di tutto per dargli buoni consigli, noi che avevamo tentato di dare più forza alla maggioranza accettando anche di metterci in secondo piano, accettando pure qualche umiliazione da parte dello stesso Renzi pur di provare a dare una mano al Paese, di fronte alla possibilità di una democrazia indebolita abbiamo detto No. Siamo democratici cristiani e sulla democrazia non accettiamo nessuno scherzo, nessuna improvvisazione, nessuna superficialità.
Gli italiani, comunque, per fortuna, sono assai più saggi di quanto piacerebbe a molti. Il no ha stravinto con una partecipazione fortissima.
Ho letto molte interpretazioni del voto del 4 dicembre in queste settimane. Renzi e i renziani dicono che non sono riusciti a farsi capire, come se si fosse trattato di un problema di comunicazione. Mi pare vivano sulla luna, non ho parole di fronte a quello che sento uscire dalle loro riunioni.
Molti poi stanno provando ad interpretare la vittoria dei no come un desiderio di andare subito alle elezioni anticipate.
Altri marziani. Che fanno finta di non vedere l’unico dato concreto.
E cioè che gli italiani hanno voluto dire no con così tanta forza perché non accettano che si tocchino gli spazi di democrazia e libertà che la Costituzione del 1948 assicura e garantisce.
La nostra non è una Costituzione come tutte le altre. L’hanno fatta De Gasperi, Moro, Dossetti, Togliatti e gli altri padri costituenti di tutte le culture politiche presenti in Italia. E la fecero insieme dopo il buio del fascismo per dire mai più.
Questo è il dato di fatto da cui partire per interpretare la partecipazione così alta di cittadini al voto referendario.
La Costituzione si può e in alcune parti si deve cambiare, ma si può cambiare solo in meglio e solo mettendo d’accordo le forze più responsabili del Paese, non giocando a metterle una contro l’altra.
Altrimenti è molto più saggio tenere questa che abbiamo che rimane una delle più avanzate ed efficaci del mondo.
E se ci fosse stata un po’ di umiltà, quell’umiltà che noi per primi abbiamo provato ad invocare negli ultimi anni, si sarebbe capito che le difficoltà dell’Italia – un Paese che da dieci anni almeno non riesce a tenere il passo degli altri – non derivano da una Costituzione vecchia e da buttare. Tutt’altro. I nostri mali derivano da un’incapacità di governare, da un livello della classe dirigente che negli ultimi anni, diciamo dalla fine della Prima Repubblica così ci capiamo al volo, è andato sempre peggiorando.
Questa è la verità.
Il nuovo, che poi di nuovo ha avuto solo l’arroganza e il disprezzo delle regole della buona politica, ha fallito. Abbiamo dato il volante in questi anni a troppi politici improvvisati, troppa gente che nella Prima Repubblica avrebbe dovuto fare anni e anni di gavetta prima di arrivare dove è arrivata.
E invece ci siamo ritrovati da un giorno all’altro con presunti fenomeni che pensavano di essere i migliori del mondo solo perché toccava a loro ma non avevano le basi, le competenze, la cultura istituzionale, le conoscenze, per guidare un Paese grande e in grande difficoltà come l’Italia.
E attenzione: il mio non è un discorso nostalgico. Se fossi un nostalgico sarei fuori dalla realtà, perché il passato non torna.
Certo, lo vede anche un marziano che tra la qualità della classe dirigente della Prima Repubblica e la qualità della classe dirigente della Seconda c’è un abisso.
Ma qui non stiamo a fare discorsi di nostalgia. Noi guardiamo al presente e al futuro.
E il presente ci dice che 19 milioni di italiani, un numero altissimo, hanno votato no al referendum per dire “lasciate stare la Costituzione, non siete capaci”, ma hanno voluto anche dire: “non siete capaci di governare, il Paese va male e voi nemmeno ve ne accorgete”.
Perché Renzi aveva chiesto un plebiscito su di sé e sul suo bilancio di governo. E l’ha ottenuto. Guardate: lo ha ottenuto.
E d’altro canto, lasciatemelo dire, questa retorica dell’ottimismo per forza che ci siamo dovuti sorbire in questi tre anni, questo disco rotto che ci diceva di continuo “l’Italia è un grande Paese e sta tornando il primo Paese dell’Europa” era insopportabile. Non se ne poteva più.
Lo chiamano lo storytelling.
Ecco, lasciatemelo dire: di storytelling, di racconti da propaganda l’Italia sta morendo.
Caro Renzi, ti ho ascoltato anche in questi giorni e ho capito che non hai ancora idea di cosa è successo il 4 dicembre dopo 3 anni del tuo governo. Anzi, ti rifiuti di capirlo.
Gli italiani ti hanno detto e insieme a te lo hanno detto a tutta la classe politica che non vogliono più qualcuno che gliela racconti. Vogliono qualcuno che faccia le cose che servono. Vogliono meno chiacchiere, anzi zero chiacchiere, e più fatti.
Questa è la lettura del 4 dicembre, non ce n’è un’altra: gli italiani hanno detto una cosa sola. Non ne possiamo più.
E guardate, noi non siamo certo gli unici ad avere sostenuto il no, per cui non siamo qui ad intestarci la vittoria dei no come se fosse una vittoria solo dell’Udc. Un piccolo pezzetto di quella vittoria può essere nostro, solo un piccolo pezzetto. Siamo seri e non prendiamo in giro nessuno, a cominciare da noi stessi.
Però c’è una cosa molto importante che voglio dirvi. E riguarda le settimane che hanno preceduto il voto del 4 dicembre.
Questa cosa è veramente importante invece perché riguarda proprio noi.
Allora, dovete sapere che nel momento in cui abbiamo dichiarato il nostro no al referendum, nel momento in cui abbiamo iniziato ad organizzare manifestazioni a sostegno del no in tutta Italia e perfino all’estero – per esempio sono stato perfino in Canada dai nostri connazionali – si è riacceso un entusiasmo e una voglia di partecipare intorno all’Udc che non vedevamo così forte da anni.
Sui territori, moltissimi nostri militanti e dirigenti che da tempo si erano tenuti lontani dalla politica, avevano perso entusiasmo e voglia di impegnarsi in prima persona – e in qualche misura si potevano pure capire – hanno ritrovato la voglia di fare politica, di battersi per una causa giusta.
Ma la cosa che mi rende più felice ed orgoglioso è che questa voglia non si è esaurita il 4 dicembre. I tanti che si sono riavvicinati all’Udc in queste settimane non sono tornati a casa sazi dopo il 4 dicembre.
Dopo il referendum sono tornati a casa con ancora più voglia e desiderio di darsi da fare per la nostra Italia e per il nostro partito.
E la vostra presenza qui oggi, così numerosa è la migliore dimostrazione di quello che sto dicendo. Erano anni che non si faceva un consiglio nazionale dell’Udc così partecipato.
Chiudo dunque l’analisi del voto referendario con un’ultima, piccola annotazione, che riguarda un altro aspetto importante per il nostro partito.
Lasciatemelo dire: il referendum è stato anche una manna dal cielo perché ci ha consentito di chiudere una brutta stagione di equivoci, di finte condivisioni, di ambiguità e incertezze.
Noi abbiamo schierato il nostro simbolo ed il nostro partito sul No, senza se e senza ma. E la nostra gente sui territori è stata tutta al nostro fianco.
Ma questo è servito a far uscire allo scoperto chi stava con noi per altri scopi, chi usava il nostro simbolo e il nostro nome per fare altro. Certo abbiamo pagato un prezzo. Ma secondo me non è stato nemmeno tanto caro. Ed è sicuramente stato un bene. Chi voleva stare col sì se n’è andato e ha fatto bene ad andarsene perché noi qui abbiamo un altro modo di intendere la politica: per noi i principi e i valori valgono più delle poltrone.
In bocca al lupo a chi non c’è più, ma noi guardiamo avanti e oggi siamo più forti di ieri. Basta guardare questa sala.
E questo mi porta a passare dall’analisi di quello che è successo fino a ieri all’analisi di oggi.
Il voto al referendum è stato uno spartiacque. Ha messo fine ad un sistema politico confuso, autoreferenziale, oligarchico, sbagliato, dannoso per l’Italia ed ha aperto le porte per una fase di cambiamento del sistema politico stesso che però è tutta da scrivere e quindi richiede massima attenzione e totale impegno da parte di tutti noi.
Nei giorni della crisi del governo Renzi, noi siamo andati al Quirinale a parlare con il presidente Mattarella nell’ambito delle consultazioni.
Ed abbiamo parlato – io ho fatto un lungo colloquio – anche con il presidente del Consiglio incaricato Paolo Gentiloni.
E quello che abbiamo capito prima ancora di vedere la composizione del governo, è che sarebbe stato un governo fotocopia. Dal governo Renzi al governo Gentiloni-Boschi. Qualcosa – parliamoci chiaro – di non all’altezza della situazione del Paese.
Noi da almeno un anno siamo stati sempre più sconcertati da quello che faceva il governo Renzi. E non lo abbiamo nascosto, anzi lo abbiamo detto sempre con più forza in Parlamento.
La nostra perplessità è iniziata con questa assurdità dell’Italicum. Ma poi si è approfondita sulle scelte economiche e sulle scelte istituzionali.
Ma vi sembra normale che negli ultimi sei mesi, mentre il Paese veniva lasciato da solo a combattere con la disoccupazione, i problemi della scuola, l’economia stagnante, le banche a rischio tracollo, una povertà sempre più diffusa e spaventosa, Renzi passava le giornate in tutte le tv e le radio per giocare la sua partita personale?
Guardate. Rivisti in controluce questi ultimi tre anni di governo sono un disastro. Vi faccio un breve riassunto.
La riforma della scuola ha provocato mesi e mesi di scioperi e per la prima volta d’accordo tutti, insegnanti, genitori e studenti sul fatto che era una schifezza.
La riforma delle banche popolari è stata bocciata dal Consiglio di Stato e se non viene cambiata in fretta è a forte rischio di incostituzionalità.
La riforma costituzionale è stato bocciata a larga maggioranza dagli italiani.
La riforma elettorale, dopo ci tornerò per parlare della nostra proposta, il 24 gennaio diciamo è a fortissimo rischio di essere dichiarata incostituzionale.
La riforma Madia sulla pubblica amministrazione è stata dichiarata incostituzionale perché si sono dimenticati che esistono le regioni.
Le altre banche, a cominciare dal Monte dei Paschi, sono state lasciate arrivare sull’orlo del collasso e ora gli italiani dovranno pagare di tasca loro per salvarle quando si poteva intervenire già a giugno visto che il decreto di salvataggio era già pronto.
Invece le si è tenute nell’incertezza fino al 4 dicembre, per giocare una partita personale sul referendum col risultato che la loro capitalizzazione in borsa si è quasi azzerata, molti correntisti si sono giustamente terrorizzati ed hanno portato via i loro soldi ed ora per salvarle serviranno molte più risorse di tutti noi di quante ne sarebbero servite a giugno.
La politica economica dei bonus, tante piccole mance sparse qua e là pensando ancora una volta solo a conquistare voti per il referendum ha fatto esplodere il debito pubblico. In tre anni di governo Renzi 90 miliardi di euro in più. E non è nemmeno servito a far vincere i sì.
Cosa resta? Ah certo. Il jobs act e i voucher. La Cgil, in silenzio, senza nessuna grancassa, ha raccolto 3 milioni e 200 mila firme per far esprimere i cittadini attraverso tre referendum se la Corte Costituzionale li dichiarerà ammissibili. Tre milioni e 200 mila firme raccolti in silenzio guardate che sono tanti.
Secondo voi che cosa voteranno gli italiani se si voteranno i tre referendum?
Gli ultimi dati sono caldi caldi di ieri: la riforma fiore all’occhiello del governo Renzi ha prodotto 121,5 milioni di voucher solo nel 2016. Questi voucher sono in continuo, spaventoso aumento – e sono una vergogna, lo voglio dire forte, sono una vergogna, per i nostri ragazzi. Una vergogna che grida vendetta, 7,5 euro all’ora, zero diritti, zero speranze per il futuro.
Altro dato di ieri. Una crescita del 27% dei licenziamenti disciplinari.
Altro dato. Una creazione di posti di lavoro stabili in tre anni ridicola: 61 mila.
E hanno voglia Renzi e il ministro Poletti di dire che ci sono altri 400 mila posti di lavoro in più. Quelli non sono posti, sono voucher. Carta straccia appena hai finito la tua oretta di lavoro.
Allora di fronte a questi numeri e a questi fatti non ci vuole uno scienziato per fare un bilancio.
Questa non è la storia di un successo, di un genio incompreso che ci ha lasciato una solida eredità, del grande rinnovatore della politica.
Questa è molto semplicemente la storia di un disastro, di un’incompetenza assoluta fatta sistema che ha maldestramente affossato le speranze di ripartenza dell’Italia proprio mentre le altre democrazie europee si risollevavano dalla spaventosa crisi globale del 2008.
E se si faranno i referendum sul jobs act – lo dico con molta amarezza – l’unica riforma che rimarrà di Renzi sarà la reintroduzione di un’antica usanza dei tempi dell’Impero Romano che si era persa nei secoli: la damnatio memoriae.
In pratica la cancellazione di ogni traccia del suo passaggio in politica. La politica di Renzi spazzata via.
E l’idea del ministro Poletti, ma anche di Renzi, di votare prima le politiche per rimandare il referendum è semplicemente un’idea suicida.
Se davvero il messaggio che si manderà agli italiani sarà quello di una furbata per impedirgli di esprimersi sui voucher è meglio che ce lo diciamo ora: le prossime elezioni le vinceranno a mani basse i populisti, a cominciare da Grillo; il Pd verrà raso al suolo ma anche le altre forze politiche più responsabili non riusciranno a distinguersi dalla rabbia che si accanirà su tutta la politica nel Paese.
E’ ora di finirla con questo gioco sulla pelle degli italiani. Il Pd ed il suo segretario la devono smettere. E quello che abbiamo sentito domenica nell’Assemblea nazionale del Pd da Renzi e dai suoi insultatori scalmanati è assolutamente incredibile ed irresponsabile.
Allora, dico questo per dire che di fronte alla richiesta del presidente Mattarella di dare un segnale di responsabilità noi invece naturalmente non ci siamo tirati indietro.
In questo momento il presidente Mattarella rappresenta l’unico vero elemento di tenuta e sicurezza del nostro sistema istituzionale. Il suo rispetto per il dettato costituzionale e la sua cultura politica sono le sole vere garanzie di cui dispone l’Italia oggi.
Per cui per senso di responsabilità, appunto, noi abbiamo accettato di far partire il governo fotocopia Gentiloni-Boschi, anche perché in questo momento – sempre per merito di Renzi – siamo pure un Paese senza legge elettorale, o per dirla con più precisione, con due leggi elettorali contraddittorie fra loro, l’Italicum alla Camera ipermaggioritario ed il consultellum al Senato che è una legge proporzionale.
E quindi la settimana scorsa abbiamo votato la fiducia al governo per farlo partire ma al presidente Gentiloni ho anticipato personalmente che non avremmo fatto parte della sua maggioranza e che ci saremmo collocati all’opposizione responsabile. Voteremo solo quello che ci convincerà.
Noi non abbiamo ministri, non abbiamo rappresentanti in questo governo, voglio dirlo con chiarezza se qualcuno non l’avesse ancora capito.
Questo governicchio non ci piace, con i Boschi e i Lotti si sfida il Paese che ha già detto due settimane fa cosa ne pensa, non lo si guida. E ci dispiace che una persona degna come il presidente Gentiloni debba essere trattato come un dipendente da Renzi.
Confidiamo che alla lunga la politica prevalga e credo che ben presto tra Renzi e Gentiloni vedremo aprirsi molte crepe.
In ogni caso noi non siamo certo i poltronari del centro.
Abbiamo dato tutto in questi tre anni per cercare di spingere, anche con i nostri suggerimenti ed il nostro aiuto, il governo a fare qualcosa di buono per il Paese. Siamo stati isolati da Renzi, ignorati nonostante i nostri voti in diverse regioni si siano rivelati decisivi per far vincere il Pd.
Abbiamo perfino tentato di mettere in piedi una componente di area moderata in grado di riequilibrare con i numeri in Parlamento le politiche del governo.
Ma, su questo devo fare autocritica io per primo, mi ero illuso. Ad Alfano interessavano molto più i posti di potere che riequilibrare le politiche del governo.
E l’esperienza di Area Popolare per questo è stato un fallimento.
Ma anche qui non tutti i mali vengono per nuocere. Al contrario la fine di questa alleanza è servita a fare chiarezza e a rimobilitare i nostri amici sul territorio.
Era difficile impegnarsi per Alfano.
Viene molta più voglia di farlo per l’Udc e per una battaglia forte per i nostri valori di democratici cristiani.
E infatti vi devo dire la verità in queste ultime due settimane dopo il referendum sono successe e stanno succedendo molte cose importanti anche nelle due Camere.
In questi anni, lo sapete, sono nate molte sigle e siglette, tutte con l’ambizione di rappresentare il centro.
Bene, la fine del sistema politico decretata dalla vittoria del No di cui ho parlato all’inizio di questo mio intervento, ha messo la parola fine anche alle speranze di rimanere in vita di questi partitelli di area moderata.
Voi non sapete quanti parlamentari ci sono venuti a cercare in queste due settimane. E tutti avevano lo stesso messaggio: “Voi siete l’unica realtà di centro con un simbolo conosciuto e presente nel Paese, tra la gente, nell’elettorato moderato”.
Ecco, questo simbolo, questo nostro scudo crociato è il bene più prezioso, è il vero faro intorno a cui noi possiamo ricostruire un’area e dobbiamo farlo nell’interesse dell’Italia perché senza una nuova politica – ho detto nuova, badate bene – che non racconti le panzane dello storytelling, ma sappia dire la verità ai nostri concittadini, questo Paese non si salva e finisce con lo scendere l’ultimo gradino prima del disastro, quello dove lo aspettano i 5 Stelle.
Allora o noi mettiamo in piedi un’alternativa di serietà e responsabilità parlando davvero al popolo moderato e di buon senso o qui l’Italia rischia l’osso del collo.
E’ un lavoro enorme quello che ci attende ma sono convinto che abbiamo davanti un anno per realizzarlo perché Renzi non riuscirà nell’ultimo suo intento autolesionista di portarci al voto subito. Il Paese non può permettersi altri cinque mesi di campagna elettorale dopo sei mesi di campagna referendaria in cui si è fatto e detto di tutto tranne che pensare ai problemi degli italiani.
Ci sono dei problemi enormi là fuori e vanno affrontati.
E allora come dicevo abbiamo un anno davanti a noi secondo me per realizzare una strategia che si deve dispiegare lungo tre direttrici.
La prima in Parlamento. Assumeremo delle iniziative concrete nelle prossime settimane per iniziare ad affrontare i problemi che Renzi non ha voluto vedere. Vogliamo risorse e politiche concrete di sostegno ai poveri e alle famiglie più bisognose: oggi l’8% degli italiani, 4,6 milioni di persone, non mangia abbastanza. Sono il doppio di dieci anni fa! E poi mi vengono a dire che serve lo storytelling!!
Vogliamo politiche industriali ed economiche mirate per rilanciare l’occupazione tra i giovani che è al 36,4%, con punte del 60% al Sud, e fermare l’emorragia di laureati verso l’estero. Dobbiamo ridare speranza ai due milioni – due milioni – di giovani che hanno perso ogni fiducia nel futuro e nelle istituzioni e ormai si rifiutano non solo di studiare ma perfino di cercare un lavoro.
Dopo tante chiacchiere dobbiamo avviare un piano concreto di messa in sicurezza delle nostre scuole, perché Renzi ne ha sempre parlato ma ha fatto poco e male su questo fronte.
Dobbiamo avviare una nuova politica ambientale, visto che il Paese è in crisi anche per il suo dissesto idrogeologico. Mentre se si facesse un grande piano di risanamento si potrebbe dare lavoro a migliaia e migliaia di piccole e medie imprese in tutta Italia dando un sostegno concreto alla ripartenza economica.
Poi c’è il fronte della legge elettorale. E su questo voglio essere ancora più chiaro. Se domani viene qui il diavolo e mi dice: “voglio il proporzionale con le preferenze”, io firmo subito il patto col diavolo.
Su questo non guardiamo in faccia a nessuno. Di maggioritario e di governi che non rappresentano nessuno l’Italia sta morendo. Serve una legge che tenga conto della situazione politica tripolare, che fotografi al meglio la realtà del Paese e che assicuri un governo secondo il dettato della Costituzione che 19 milioni di italiani hanno appena confermato. Una Costituzione che dice che i cittadini eleggono il Parlamento e che il Parlamento elegge un governo dopo aver trovato un’intesa al suo interno.
E nessuno si azzardi a dire che è vecchia politica. In Germania i governi si fanno così oggi. E finché si sono fatti così in Italia, l’Italia competeva nella crescita con la Germania.
Terzo punto su cui dobbiamo lavorare: il partito.
Nessuno rompa le scatole sulle alleanze, non ne voglio sentire parlare per un bel po’. Con chi dovremmo allearci, poi, con un Pd che non sa nemmeno da che parte ha preso una sberla colossale? Con Forza Italia? Con chi?
Noi dobbiamo rafforzare, rifondare, ricostruire l’Udc, portare a casa la legge elettorale che serve al Paese e poi, se sarà il caso, vedremo le alleanze.
L’unico paletto che mettiamo fin d’ora è: alla larga dai populisti, ovvero 5 Stelle e Lega. Noi l’Italia fuori dall’Europa non la porteremo mai. Sia chiaro: mai.
Detto questo, appunto, non vorrei nemmeno sentire la parola allenze per i prossimi mesi.
Lavoriamo per far crescere l’Udc. Perché lo spazio c’è e si aprirà sempre di più; lo scudo crociato è con noi ed è un punto di forza incredibile; e perché tanti cittadini si stanno rendendo conto che i moderati sono l’unica realtà di buon senso di questo Paese.
Allora pensiamo al partito. Negli ultimi mesi il tesseramento ha portato 50 mila iscritti all’Udc. Nelle condizioni in cui siamo se ci pensate è un numero incredibile. Vuol dire ancora una volta che questo partito c’è, perfino al di là di quello che fa la sua classe dirigente. Perché ha dei valori da rappresentare, idee in cui una parte di italiani si ritrova.
Ora dobbiamo fare due passi avanti. Entro la fine di gennaio dobbiamo chiudere i congressi sui territori.
Devono essere congressi veri, seri, altrimenti non servono a nessuno: dobbiamo avere il coraggio di inserire linfa nuova e chiarire una volta per tutte, come abbiamo fatto qui a Roma, chi è dentro e chi non è più interessato. Non sto dicendo che servono espulsioni, non siamo né i 5 Stelle né il Pd. Serve chiarezza e poi ognuno farà le sue scelte.
Poi, a partire da domani, facciamo ripartire il tesseramento in Sicilia con un termine fissato per il 15 febbraio: è necessario visto che ci sono state delle uscite ma anche qui vi dico preparatevi a belle sorprese perché stiamo per diventare molto più forti di prima.
Sempre a febbraio poi faremo un nuovo consiglio nazionale per stabilire i passaggi formali in vista del prossimo congresso nazionale.
E a fine febbraio faremo il congresso nazionale.
Come sapete bene io non sono il padrone di niente, tanto meno del partito. Mi sono messo a disposizione per allargare l’Udc e farla crescere ed è quello che farò nei prossimi due mesi.
Ma senza di voi non posso fare nulla.
Mentre con voi possiamo fare di questo partito qualcosa di importante per l’Italia a partire dalle prossime elezioni. Diamoci una mano e manteniamo questo entusiasmo perché stanno guardando a noi tanti che pensano che possiamo rappresentare una speranza e anche tanti, perfino di più, che sono disperati perché hanno provato da altre parti e non hanno trovato nulla. Agli uni e agli altri dobbiamo dare certezze.
Chiudo facendo i migliori auguri a tutti voi e alle vostre famiglie per il Santo Natale e augurandovi uno splendido anno nuovo.
Ma preparatevi. Perché nel 2017 dovremo correre, non come Renzi verso il muro. Ma verso una rinascita e un rinnovamento che sono alla nostra portata.
Possiamo e dobbiamo farcela. Ma ci riusciremo solo se siamo uniti e decisi a crescere di nuovo sotto questo simbolo.
Grazie e ancora auguri.

Nessun commento:

Posta un commento