Doppio
appuntamento questa settimana per Caserta FilmLab che domani 10 aprile
presenterà al Duel Village “I corpi
estranei” alle 21. Un bambino di pochi mesi che lotta contro il cancro e un
padre che lo accompagna in questa battaglia. Siamo dinanzi a un film che
racconta la malattia, ma in cui la malattia non è protagonista, come non è
protagonista il piccolo Pietro. Protagonista è invece un padre nel ruolo di
“caregiver”: Antonio (Filippo Timi), che trasferisce la sua vita in un ospedale
milanese, in cui scorrono lunghi, indefiniti e confusi giorni in attesa prima
del delicato intervento di suo figlio e poi del suo esito. E proprio
quest’attesa è ciò su cui il film si sofferma, concedendosi tempi lunghi,
abbastanza “estranei”, inediti nel cinema italiano. Mirko Locatelli firma
questo lavoro, un regista disabile, tetraplegico, che già in passato si è
confrontato con il tema della malattia: al suo esordio con “Come prima” nel
2004, nel 2005, di nuovo la disabilità di un ragazzo era protagonista del
documentario “Crisalidi”; e poi ancora, nel 2010, nel documentario “Una
destinazione imprevista”, Locatelli aveva dato voce ad alcuni genitori di
ragazzi disabili. Ora, “I corpi estranei” racconta la malattia infantile
dall’originale punto di vista del padre. Perché è un padre, non una madre, a
stare al fianco del bambino e accudirlo in questa faticosa e delicata
circostanza. La madre è rimasta a casa, lontano da Milano, accanto agli altri
due figli. Antonio è un uomo pragmatico, costretto ad affrontare e risolvere in
fretta anche i piccoli problemi che sorgono introno al dramma principale, la
ricerca del lavoro, il guasto dell’auto e del gabinetto. Antonio, poi, non si
concede a quel clima “solidale” e fraterno che si crea nei corridoi degli
ospedali, scostante e scontroso con chi si interessa a suo figlio, mantiene le
distanze soprattutto dai vicini di stanza, dei ragazzi arabi che assistono un
amico malato. Uno di questi, il giovane Jaber, si affeziona al piccolo Pietro,
ma è costretto a osservarlo da lontano, mentre la mano che porge più volte ad
Antonio, offrendogli il proprio aiuto, è quasi sempre rifiutata. Antonio non
guarda con benevolenza gli stranieri, anzi non solo è insofferente verso i loro
atteggiamenti e le loro abitudini, ma detesta la “puzza” dell’olio con cui
ungono i malati e schernisce le loro preghiere. “Il film si svolge tutto in
luoghi – osserva lo stesso regista – Il parcheggio, il mercato, i corridoi e le
stanze d’ospedal. E il protagonista – aggiunge – non è il
bambino malato, non è lui a farci pena, ma suo padre, che vediamo sempre in
campo e seguiamo continuamente, per lo più a un metro dalle sue spalle”. Il
film prende spunto da un’idea della sceneggiatrice Giuditta Tarantelli, moglie
del regista. “Avevo visto in un ospedale un padre che accudiva il figlio, un
padre meridionale, in una struttura del nord. La scena mi ha colpito e abbiamo
deciso di provare a farne un film”. La scrittura è durata due anni, nel
frattempo nuove idee si sono aggiunte e la trama “è stata contaminata da ciò
che, in questi due anni, accadeva intorno a noi. E’ nato così il personaggio di
Jaber, insieme alla necessità di inserire nel film anche il mondo
dell’immigrazione”. Di notte Antonio lavora, di giorno si trascina dalla stanza
al bagno, dalla mensa al distributore del caffè, fino al terrazzo in cui
consuma le sue numerose sigarette. Il film resta fedele, dall’inizio alla fine,
alla propria sobrietà, alla pacatezza dei toni e dei colori. Nessun cedimento
alle emozioni spesso scontate dei film italiani: le lacrime sono poche e per lo
più trattenute. La metafora della malattia si compie così, nel discreto dolore
della lontananza da casa, nell’angoscia riservata dell’attesa e nella
controllata gioia della risoluzione. Durante l’evento il direttore artistico
Francesco Massarelli incontrerà da vicino il regista e sua moglie, la
sceneggiatrice Giuditta Tarantelli così che il pubblico avrà modo di poter
intervenire e interagire con i due ospiti.
Fonte: comunicato stampa
Nessun commento:
Posta un commento