PROCESSIONE DI SAN GENNARO
SOLENNITA’ DEL 5 MAGGIO 2018
Cari
Confratelli nell’Episcopato, illustri Autorità,
Mi
sia consentito rivolgere un sentito benvenuto al Principe Emanuele Filiberto e un
saluto alla Deputazione di San Gennaro, al Comitato delle Guardie d’Onore alla
Cripta di San Gennaro, agli Amici della Delegazione della Diocesi di Ascoli
Piceno gemellata con Napoli e guidata dal Vicario Generale, Mons. Emidio Rossi,
agli amici Cuochi guidati dai Padri Caracciolini agli amici Giornalisti e a tutti gli Operatori
del mondo dell’informazione.
Si
è da poco conclusa la tradizionale processione in onore di San Gennaro,
portando le sue Sacre Reliquie e il suo Busto, unitamente alle statue dei Santi
compatroni, dalla nostra Chiesa Cattedrale a questa stupenda Basilica di Santa
Chiara.
Abbiamo
attraversato la Napoli antica; siamo passati per le sue strade; ci siamo come tuffati nella storia della
nostra Città.
Camminando
con noi, il nostro Patrono si è
ritrovato con il suo popolo; ha toccato quasi con mano la fede e la devozione
dei napoletani; ha guardato nella vita della nostra gente, cogliendone le
abitudini, cordiali anche se non sempre corrette, la semplicità,
l’imprevedibile quotidianità, l’incertezza del domani.
San
Gennaro vede, sa e soffre, con il suo popolo, per il disagio anche economico in cui si dibattono tante persone e
tante famiglie; per le privazioni e rinunce cui sono costretti in molti; per il
dolore di chi ha perduto il lavoro o non lo ha mai avuto; per le sofferenze di
quanti sono negli ospedali o nelle carceri; per la tristezza di chi è solo; per
la povertà crescente.
San
Gennaro ha attraversato le strade del nostro vivere, della nostra
napoletanità fatta di calore umano e che
certamente gli procura gioia, come succede tra parenti e all’interno di una
famiglia, ma ha anche sofferto tanto, come parente autorevole, per il sangue
che troppo spesso bagna queste nostre strade. E non importa se è sangue
innocente o colpevole, perché è sempre sangue umano, che distrugge vite, porta
dolore, semina lutti, offende la città.
E’
il sangue della malavita, quella comune o quella organizzata, che resta un vero
cancro di questa meravigliosa terra, che non riesce a liberarsene del tutto,
nonostante la reazione e la lotta della gente sana, nonostante una diffusa
cultura antimalavitosa, nonostante l’impegno e i successi delle Forze
dell’Ordine.
Nessuna città può togliere dalla vista le cicatrici di cui
è segnata. ma Napoli, per l’aberrante via della violenza rischia di vedere
sfigurato per sempre il suo volto.
Come è possibile, viene da chiedersi, che la violenza, il
male- con tutti i suoi derivati dell’odio, della sopraffazione, della sete di
ricchezza e di denaro a qualunque costo-
possa sovrapporsi al patrimonio inesauribile della nostra umanità?ò
San
Gennaro soffre veramente, perché troppe strade di Napoli, anche quando non sono
bagnate dal sangue, sono diventate teatro di violenza.
Una
violenza spesso gratuita, quasi irrazionale, perché non sempre nasce dall’avidità
del danaro o dalla tendenza a delinquere o dall’abitualità
criminosa o ancora dalla inclinazione al delitto e
dalla pericolosità sociale.
In
realtà, costatiamo che c’è violenza nelle relazioni interpersonali; c’è
violenza organizzata e ideologica nell’esercizio del proprio ruolo; c’è
violenza nella pratica di attività sportive; c’è violenza nella fruizione del
tempo libero; c’è violenza nelle famiglie; c’è violenza nel rapporto
uomo/donna; c’è violenza nella guida scriteriata e pericolosa delle auto come
delle moto.
C’è
violenza nella scuola, manifestata da alunni e da genitori nei confronti di
docenti; c’è violenza negli ospedali, dove non si accetta l’aggravamento o la
morte di un congiunto, oppure si presume un errore umano del medico o
dell’infermiere; c’è violenza nelle carceri.
C’è
violenza quando si seguono esempi sbagliati o quando si hanno riferimenti e
modelli che portano alla devianza. C’è violenza quando si invade la libertà di
un altro; c’è violenza quando si deruba o si rapina o si ricatta un’altra
persona; c’è la violenza delle espressioni e delle parole; c’è la violenza
della diffamazione, della calunnia e dell’odio.
Si, lo
sappiamo, nessun uomo nasce violento, ma lo può diventare per la sua fragilità
o debolezza o presunzione o arrivismo. La violenza non è mai espressione di
coraggio, tutt’altro; è piuttosto un atto di viltà compiuto da chi ricorre alla
forza per far valere una propria ragione o pretesa.
E’ amaro
e triste, pertanto, riconoscere e dire che la violenza sta prima ancora nella
società, quando vive di indifferenza, di egoismo, di inerzia, di incapacità di
dare risposte o di trovare soluzioni per dare lavoro a uomini e donne, a padri
e madri, mostrandosi inefficiente rispetto alle legittime aspettative dei
giovani che non vogliono e non possono accettare di restare in parcheggio per
un inserimento incerto, improbabile e vago nel mondo del lavoro, delle
professioni, della ricerca.
Dico queste
cose non per lanciare una semplice denuncia, non per puntare l’indice
accusatore. Non lo penso e non lo farei.
Ma ho il
dovere, come cittadino responsabile e come Pastore di questa terra, di lanciare
un grido d’allarme, per contrastare la cultura della violenza e richiamare alla
propria responsabilità tutti e ciascuno di noi, perché la società non è una
entità astratta ma è fatta da tutte le persone, dalle categorie sociali, dagli
enti, dalle associazioni, dalle istituzioni.
Tutti
siamo chiamati in causa, a cominciare dalla Chiesa. Credenti e non debbono
sentirsi impegnati in ragione del proprio ruolo e della propria responsabilità.
Tutti dobbiamo fare la nostra parte e dare risposte agli ammalati, ai poveri,
ai senza dimora, ai lavoratori rimasti disoccupati, alle donne, all’infanzia
sofferente, alle famiglie. E soprattutto nei riguardi dei giovani, che non vanno dimenticati, non vanno
trascurati, non vanno abbandonati al loro destino, non vanno traditi.
E’
rispetto a questi obiettivi che tutti, ciascuno per la propria parte, siamo
chiamati a sporcarci le mani, a lavorare concretamente, a non perdere tempo, a
trovare soluzioni e sinergie, a valorizzare le eccellenze che abbiamo, le risorse immense
che ci sono, la ricchezza culturale di questa terra, a credere nelle due grandi
potenzialità e risorse rappresentate dai giovani e dal territorio.
E lo
dobbiamo fare cercando e trovando le necessarie sinergie tra Chiesa,
Istituzioni, Scuola, Forze sociali, Operatori economici.
Non
possiamo fallire in questa impresa, in questo nostro dovere. Per questo
vogliamo affidarci ancora e sempre a San Gennaro perché non faccia mai venire
meno la sua protezione, la sua vicinanza, il suo amore, intercedendo con la
potenza della sua santità presso il Signore Misericordioso.
A San
Gennaro, però, non possiamo chiedere senza dare. Come figli devoti, gli
assicuriamo la nostra fedeltà, la nostra sincera devozione, le nostre
preghiere, ma anche il nostro impegno a cambiare in noi stessi per cambiare la
società, per far prevalere il bene comune, per avere una società più giusta e
migliore.
Maria
SS.ma, regina di Napoli, benedica questi nostri propositi e, con la protezione
del nostro Santo Patrono, ci protegga con la sua materna intercessione.
San Gennaro
e ‘A Maronna ci accompagnino!
Nessun commento:
Posta un commento