Luci della
città. Stefano Cucchi
Per il 30ennale di Sala Assoli Pino Carbone
Dal 29
settembre al 1 ottobre ore 20:30
Per il 30ennale di Sala Assoli,
il 30 settembre ed il 1 ottobre è in scena Pino Carbone con Luci della città. Stefano Cucchi,
scritto con Francesca De Nicolais che ne è anche protagonista e prodotto da
o.n.g. Teatri ed ex Asilo Filangieri. Sala Assoli si conferma così essere un
luogo aperto alle compagnie indipendenti pronte a ritrarre la realtà odierna e
a confrontarsi con i temi più scottanti della nostra attualità. Per Pino
Carbone si tratta di un gradito ritorno in un luogo che lui ha vissuto e in cui
ha cominciato a muovere i primi passi nel mondo del teatro. Lo spettacolo che
propone per il 30ennale di Sala Assoli, come si evince dal titolo, è dedicato
ad un fatto di cronaca avvenuto il 22 ottobre del 2009 quando il trentenne Stefano
Cucchi perse la vita mentre era in custodia cautelare. Nell’ottobre 2014, tutti
gli imputati vengono scagionati ed è notizia di pochi giorni fa la riapertura
delle indagini.
La sensazione
è quella di assistere a uno spettacolo che non dovrebbe avere luogo.
Perché di Stefano Cucchi, a teatro, non si dovrebbe parlare.
Perché è una
storia che nessuno vuole sentire. Perché non c'è niente da rappresentare.
Un ragazzo di
31 anni è morto mentre era sotto la custodia dello Stato, per usare
un'espressione da libro di denuncia, o da teatro di narrazione.
Per usare
un'espressione che userebbe chi riesce a restare virtuosamente lucido di fronte
alle tragedie.
Io questa
virtù non la possiedo, quindi "perdonate la mia incoscienza
incivile".
Un ragazzo di
31 anni è morto. punto.
È entrato in
carcere sulle sue gambe, è uscito cadavere dal reparto di medicina protetta di
un ospedale una settimana dopo. punto.
Senza poter vedere
i suoi familiari. punto.
Senza potersi
neppure cambiare i vestiti e la biancheria. punto.
Sul suo corpo
sfigurato vistosi segni. punto.
In quel letto
d'ospedale i sudori acidi di una solitaria astinenza. punto.
E a capo.
In scena,
l'attrice Francesca De Nicolais fa la regia a se stessa,
passando per Charlot , il vagabondo nei cui panni, sempre
troppo grandi per il suo esile corpo, Charlie Chaplin ha
vestito tutti gli ultimi, e nel film “Luci della città” si improvvisa
improbabile boxeur, come lo era Stefano Cucchi, che praticava boxe a
livello amatoriale. Un improbabile peso piuma.
Nell'epoca in
cui tutti reclamano spiegazioni razionali, la parola, il corpo, l'azione,
reclamano il loro diritto ad essere anche parola, corpo e azione poetica.
Anche
invocazione.
Anche
bestemmia.
Anche ritmo o
soltanto rumore.
Rivendicano
il loro diritto alla scostumatezza.
I peggiori
delitti si sono consumati in nome della buona educazione!
Orario spettacolo: 20:30 Biglietto intero: 12 euro; under 25
e studenti universitari 8 euro
Raccontami
Sala Assoli… Pino Carbone
In un percorso artistico
spesso si cercano i maestri. Maestri ai quali fare riferimento, dai quali
lasciarsi ispirare, con i quali confrontarsi ed ottenere delle risposte a
domande che ti servono a capire come procedere… Nel mio caso il mio principale maestro è un luogo.
Un luogo fatto di persone, artisti, artigiani, di innamorati del teatro, della
ricerca, un luogo fatto di lavoro, di tempo. Uno spazio dentro il quale ho
potuto imparare cosa significa cercare un linguaggio. Come una idea diventa una
materia produttiva. Dove ho potuto darmi il tempo di capire cosa mi interessava
veramente e di sperimentare con attori, musicisti, collaboratori, persone. Dove
ho potuto sbagliare, capire e trovare. In Sala Assoli ho fatto praticamente
tutto e ho visto una infinità di spettacoli, osservato tecnici lavorare, spiato
artisti costruire, confrontato con i diversi ruoli, da quelli amministrativi,
produttivi, a quelli artistici ed artigianali. Insomma, è stata la mia scuola,
ma anche dove ho potuto rischiare e produrre. Tutto questo rende per me,
l'occasione del 30ennale di Sala Assoli,
questo progetto, questa stagione, un tornare in quello spazio di
confronto, soprattutto tra me e il mio lavoro. In quello spazio dove chiarisci
e realizzi idee. Mi fa sentire quel raro senso di appartenenza, mi da il sospetto di stare in qualcosa che fa
bene al pubblico, fa bene al teatro, fa bene a un'idea del fare teatro, e fa
bene al mio lavoro, e tutto questo da una piacevolissima sensazione. Sono
realmente orgoglioso e contento di esserci.
Pino Carbone
Luci della città. Stefano Cucchi / Sinossi
Il
personaggio del vagabondo è arbitrario e comodo.
Qualcuno
è vagabondo per qualcun altro.
Qualcuno
è sempre al margine.
Al
margine di quello che è stato stabilito come centro.
Si
è sempre più in basso di qualcuno.
Fuori
dalla grazia di dio e dalla giustizia.
Ognuno
ha il diritto di sentirsi vagabondo,
di
rimanere o mettersi al margine, di stare un po' più in basso.
Il
vagabondo sono anch'io, anche lui, anche tu.
E
tu.
E
tu.
Charlie
Chaplin è un attore acrobata che interpreta un personaggio che ripetutamente
fallisce: un clown.
Chaplin
inventa Charlot per raccontare l'impossibilità e l'imprevedibilità della
perfezione.
Inventa
Charlot per raccontare la grazia del fallimento.
Profondamente,
meravigliosamente umano.
Charlot
l'improbabile boxeur.
Che
si aggrappa alle corde per sottrarsi all'avversario.
Che
si ripara dietro l'arbitro, più per far ridere il pubblico che per nascondersi.
Che
si stringe forte al suo avversario per stanchezza e lo fa diventare poi un
abbraccio affettuoso.
Charlot
che scappa sul quadrato come se fosse una lunga strada, per aggrapparsi di
nuovo alle corde quando si accorge che lo spazio è finito.
Chiude
gli occhi come un bambino, per non vedere e sperare di non essere visto.
Diventa
ancora più piccolo e indifeso.
Si
chiude nella sua ottusa solitudine.
Aggrappato ad
un'idea di poesia.
E
intorno il mondo in bianco e nero… e muto.
Intorno
calci e pugni perché sei un reietto, sei la feccia della società, sei un
tossico di merda, sei nelle nostre mani ora, nelle mani dello Stato.
E
tu, Stefano, per lo Stato non eri nessuno.
E
neppure per noi, fino a che non sei diventato martire e simbolo.
Stefano
che forse si aggrappa alle sbarre per sottrarsi all'avversario.
Che
forse si ripara dietro il lavandino, e non per far ridere il pubblico.
Che
forse si stringe forte ai suoi avversari, anche lui per stanchezza.
Stefano
che scappa nel quadrato della cella come se fosse una lunga strada,
per
aggrapparsi di nuovo alle sbarre quando si accorge che lo spazio è finito.
Chiude
gli occhi come un bambino, per non vedere e sperare di non essere visto.
Anche
lui diventa ancora più piccolo e indifeso.
Si
chiude nella sua ottusa solitudine.
Aggrappato
ad un'idea di giustizia.
Una
idea: la sua.
La
vicenda di Stefano Cucchi è emblematica di qualcosa che non va, di qualcosa che
ci riguarda. Che dovrebbe riguardarci tutti, se avessimo occhi.
Se
non fossimo come la fioraia cieca, da ingannare con il rumore di una portiera
che sbatte.
Come succede a
Charlot in “Luci della città”.
Stefano,
le luci si accendono tardi, di notte, a Tor Pignattara.
Di
notte. A Tor Pignattara. È ancora notte.
È
notte
L'idea
di messa in scena si muove tra ironia e rabbia.
Un
lavoro sul clown e sull'umano. Uno studio sul clown e quindi un lavoro
sull'umanità.
Nell'epoca
in cui tutti reclamano spiegazioni razionali, la parola reclama il suo diritto
ad essere anche parola poetica.
Anche
invocazione.
Anche
bestemmia.
Anche
ritmo o soltanto rumore.
La
parola rivendica il suo diritto alla scostumatezza.
I
peggiori delitti si sono consumati in nome della buona educazione.
La
sensazione è quella di assistere a uno spettacolo che non dovrebbe avere luogo.
Perché
di Stefano Cucchi, a teatro, non si può parlare.
Perché
è una storia che nessuno vuole sentire. Perché non c'è niente da rappresentare.
Un
ragazzo di 31 anni è morto in circostanze poco chiare - o non ancora chiarite -
mentre era sotto la custodia dello Stato, per usare un'espressione da
libro di denuncia, o da teatro di narrazione.
Per
usare un'espressione che userebbe chi riesce a restare virtuosamente lucido di
fronte alle tragedie. Io questa virtù non la possiedo, quindi "perdonate
la mia incoscienza incivile".
Un
ragazzo di 31 anni è morto. punto.
È
entrato in carcere sulle sue gambe, è uscito cadavere dal reparto di medicina
protetta di un ospedale una settimana dopo. punto.
Senza
poter vedere i suoi familiari. punto.
Senza
potersi neppure cambiare i vestiti e la biancheria. punto.
Sul suo corpo sfigurato vistosi
segni. punto.
In
quel letto d'ospedale i sudori acidi di una solitaria astinenza. punto.
E
a capo.
Questo
spettacolo vuole essere le lacrime che non abbiamo pianto.
La
rabbia che non abbiamo gridato.
La poesia che non
gli è stata concessa.
Luci della
città. Stefano Cucchi
testo di Pino Carbone e Francesca De Nicolais
con Francesca De Nicolais
regia di Pino Carbone
produzione o.n.g. Teatri, ex Asilo
Filangieri
Fonte: comunicato stampa