Spread e Unione
Europea
di Francesco Mercurio
Il termine
“spread” è ormai entrato nel lessico comune, indicando il differenziale tra due
tassi di interesse, e, per il nostro Paese, la differenza tra i Titoli di Stato
italiani e il Bund tedesco, che
rappresenta il benchmark (parametro
di riferimento) per la riconosciuta solidità dell’economia della Germania.
Abbiamo preso confidenza
con tale indicatore finanziario soprattutto durante la grave crisi finanziaria
che ha coinvolto l’Eurozona quando, alcuni Paesi come Grecia, Portogallo e
Irlanda, hanno sfiorato livelli superiori a 1000 punti base; ma anche Italia e
Spagna hanno raggiunto picchi superiori ai 700 punti sul rendimento dei propri
titoli di Stato (BTP e i Bonos). Fattore che ha determinato un sistematico
declassamento, decretato dalle agenzie di
rating (tra tutte, Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch ), alimentando una strisciante speculazione titoli di Stato
dei Paesi considerati risk-free.
Tale situazione ha
visto due risposte: una domestica di austerity,
drasticamente “errata”, poiché nei periodi di recessione la tradizionale
“risposta di politica economica”, doveva essere quella espansiva in deficit spending; la seconda della Bce:
una politica di acquisto dei titoli sovrani, attraverso il Quantitative Easing, messa in atto da Draghi - whatever it takes - che ha inciso sullo spread, non potendo adottare un modello di Banca prestatore di
ultima istanza, vietato dall’art. 123 del Trattato.
L’Italia, con
Tremonti, aveva avanzato l’ipotesi di emissione di Eurobond, ovvero di
obbligazioni comunitarie, strumenti finanziari che non hanno mai visto la luce
a causa dell’indisponibilità, soprattutto, della Germania.
Sono fin troppo
evidenti gli interessi che riguardato le dinamiche degli spread e che
incidono sul Bilancio dei singoli Paesi. Nel bilancio annuale dello Stato
italiano gli interessi passivi sono circa il 10% della spesa corrente, 65
miliardi di euro, rispetto ad una manovra finanziaria che viene fatta
mediamente con 30 miliardi. E’ chiaro che la leva dello spread rappresenta, da un lato, una tensione finanziaria;
dall’altro, la possibilità di liberare spazi finanziari e dare impulso allo
sviluppo economico. L’esclusione dal rapporto debito pubblico/PIL delle spese
per investimenti, specie quelle ad alta accelerazione di sviluppo (viabilità
autostradali, ponti, ferrovie ecc.), garantirebbe un aumento per le famiglie della
marginalità al consumo, tale da generare cicli economici virtuosi.
La rimodulazione
della spesa pubblica, anche per effetto del contenimento dello spread, essendo una componente della
domanda aggregata (Consumi + Investimenti + Spesa Governativa + Esportazioni –
Importazioni) produce effetti moltiplicativi su altri parametri economici
determinando una accelerazione della crescita economica, quando destinata
ad investimenti strutturali.
La volatilità
dello spread risulta particolarmente
sensibile agli input che provengono
dai diversi attori istituzionali e economici. La poco brillante affermazione della
presidente della Bce Christine Lagarde,
che “ridurre gli spread” non rientrava
nei compiti dell’istituto Centrale, ha determinato un innalzamento dello spread sui Btp italiani, volato fino a
quota 330 punti base. Solo dopo la correzione della stessa Lagarde ed il “lancio” di “quantitative
easing” da 750 miliardi, lo spread si è riportato sotto quota 200.
Tuttavia, per
dirla con parole di Giulio Tremonti, il quantitative
easing ha oppiato la politica, ma la colpa è di chi fuma l’oppio o di chi
lo spaccia? Come minimo, di entrambi.
Tra le opzioni
di politica monetaria vi è quella minimalista, c.d. “strategia del sommergibile”, che sostiene l’invariabilità
di reazione della BCE rispetto all’emergere del rischio macroeconomico, straordinario
e negativo come quello del coronavirus;
l’altra, una politica massimalista c.d. “strategia dell’elicottero” - helicopter money -, che modifichi la funzione di reazione della Bce,
iniettando maggiori liquidità e distribuendo a imprese e famiglie quantità di
denaro a fronteggiare l’emergenza, preferibilmente accompagnata da una politica fiscale di contenimento.
Oggi si riparla
di Eurobond (Coronabond) emessi dalla Bei per consentire agli Stati di finanziare
le spese emergenziali, come quelle da coronavirus, soprattutto per
sostenere le famiglie e le imprese in una fase di grande difficoltà.
La proposta è
quella di avere più coraggio, portando avanti una nuova “idea” in grado di
temperare le fluttuazione dello spread,
di armonizzazione delle politiche economiche e monetarie, tesa a mitigare, fino
ad annullare, l’eventuale spread dei Paesi “periferici” sul Bund tedesco, attraverso misure di
perequative, restituendo il differenziale in risorse finanziarie, in modo
istituire uno “scudo salva-spread” per parificare i tassi d’interessi passivi
nell’ambito dell’Eurozona.
Si può
concludere con una celebre frase: spesso è la mancanza di immaginazione che
impedisce a un uomo di soffrire troppo (cit. Marcel Proust).
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