Dove le mafie garantivano lavoro lo Stato rischia di rappresentare il fallimento.
Ne
abbiamo parlato con il Dr. Gianluca Casillo, custode giudiziario e consulente
della Direzione distrettuale Antimafia. Esempio di due imprese casertane
sottratte alla camorra e amministrate giudiziariamente
Servizio di
Ferdinando Terlizzi
Caserta. Un argomento, spesso
sottociuto, che crea vuoti di potere e disoccupazione è quello che riguarda la
confisca dei beni alla camorra. In Campania, attualmente il numero degli
immobili sottratti alla criminalità organizzata è di 1456 plessi, di cui 1105
in gestione giudiziaria, mentre solo 21 sono usciti dalla gestione. Più grave
il problema delle aziende. Solo il 2 percento delle aziende confiscate in via
definitiva sopravvive al mercato. Dove le mafie garantivano lavoro lo Stato
rischia così di rappresentare il fallimento. Abbiamo provato a capire il perché
attraverso le storie di due imprese che tra mille difficoltà provano a
resistere (sono 137 le aziende confiscate di cui ben 298 in gestione
giudiziaria e soltanto 197 quelle uscite dal sistema). Ne abbiamo parlato con
il Dr. Gianluca Casillo, custode
giudiziario e consulente della Direzione distrettuale Antimafia.
“Le banche – ha esordito il
consulente - sempre disponibili nei confronti della vecchia proprietà con noi
stringono i cordoni del credito”. La Beton Me Ca di Vitulazio, nella
provincia di Caserta, è un’impresa di calcestruzzo che impiega 30 dipendenti.
Dal 2011 è stata posta sotto sequestro dalla Direzione distrettuale antimafia
nell’ambito dell’operazione “Il principe e la scheda ballerina” sull’oligopolio
imposto dal clan dei casalesi alla filiera del cemento.
“Si
produce il miglior calcestruzzo della zona, questa è un’azienda con grandi
potenziali” - spiega il Dr. Casillo -
“eppure, un volume di affari di 4
milioni di euro all’anno con circa un milione e mezzo di commesse già
aggiudicate per il 2016/2017, non rassicurano sul futuro. Negli anni passati la
Beton Me Ca ha potuto contare su grandi iniezioni di denaro, oggi invece siamo
in costante sofferenza di liquidità. Stiamo provando a rendere più efficiente
il sistema produttivo per ridurre i costi e forse riusciremo a chiudere il
bilancio in attivo. Ma potrebbe non bastare”.
Fornitori e clienti non si
sono dati alla fuga dopo l’intervento della magistratura, anzi continuano a
garantire lavoro come in passato. Lo testimonia la frenetica attività nel
cantiere. I problemi vengono dalle banche.
“In
particolare – dice Casillo con un istituto di credito c’è un prestito
che di soli interessi passivi ci costa 120 mila euro all’anno” “il sottoscritto
ha avanzato una proposta di abbattimento dell’esposizione debitoria utilizzando
risorse liquide e disponibili offerte in garanzia, ma paradosso del paradosso,
l’Istituto bancario temporeggia per oltre un anno e mezzo, maturano altri
interessi passivi che ci portano a sconfinamenti delle linee di credito;
l’Istituto di bancario, poi, ci blocca l’operatività sul Conto corrente
aziendale”.
Si è appreso anche che in modo totalmente
arbitrario un altro intermediario finanziario ha segnalato alla Centrale Rischi
della Banca d’Italia una sofferenza per mancato pagamento di rate di leasing
non riscontrando le decine di raccomandate inviate dall’amministrazione
giudiziaria per concordare soluzioni bonarie dell’esposizione debitoria
allertando tutto il sistema bancario che ha sospeso l’operatività sui conti
correnti contravvenendo tra l’altro all’art.4 comma 7 del Codice di deontologia
e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in
tema di crediti al consumo approvato dal Garante per la privacy nel 2004 che
obbliga l’intermediario ad avvertire l’interessato sull’imminente registrazione
della sofferenza in sistema.
“Per
pagare le rate – ha aggiunto il Dr. Casillo - siamo
così sempre in sofferenza, e se ritardiamo un pagamento il nostro rating
bancario ne risulta compromesso con l’effetto che anche altre banche non ci
consentono l’accesso al credito. Una corsa ad handicap, impossibile così
resistere a lungo sul mercato”.
E’ necessario, soprattutto in questo periodo
di crisi, una maggiore assunzione di responsabilità del sistema bancario. Se poi consideriamo che in Provincia di
Caserta quasi il 40% del mercato del Calcestruzzo è controllato dalla
Magistratura per mezzo degli amministratori giudiziari ci rendiamo conto che
sono problematiche che se non risolte tempestivamente possono creare non poche
problematiche di carattere sociale sul territorio con la perdita di numerosi posti
di lavoro.
Di traverso accade che si mettano anche le
Istituzioni. E’ il caso della Green Line di Castel Volturno, azienda
specializzata nello smaltimento rifiuti speciali. Solo sulla carta, però.
All’indomani del sequestro, avvenuto sei anni fa nell’ambito dell’operazione “Normandia”,
l’inchiesta della DdA che ha portato alla sbarra politici e “colletti bianchi”
al servizio dei clan, l’Albo nazionale gestori ambientali del Ministero
dell’Ambiente ha decretato l’esclusione della ditta.
“Paradossale
- ha chiarito Casillo - che
la decisione arrivi con la gestione giudiziaria e la trasparenza che questa
impone. Nella storia recente dell’azienda l’esclusione dall’Albo non è stato il
solo ostacolo imprevisto. Dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico,
all’amministratore giudiziario giunge dalla Prefettura competente la
comunicazione di un’interdittiva antimafia. Non riuscivo a credere ai miei
occhi, per fortuna è intervenuta la Dda e ha rimesso le cose a posto. Non
chiediamo un occhio di riguardo particolare, ma quanto meno che non si
commettano errori così marchiani”.
C’è poi la questione da affrontare e
relativa alla possibilità di un riutilizzo sociale dell’impresa, questione
auspicata da tutti gli addetti ai lavori ma nella pratica quasi mai attuata per
l’impossibilità oggettiva di proseguire in una gestione giudiziaria decennale,
o quantomeno perché a conclusione dell’iter processuale la normativa dovrebbe
prevedere dei meccanismi di controllo e di direzione dell’impresa coinvolgendo
semmai l’Unione Industriali o altre organizzazioni di categoria per fornire
supporto ed ausilio a dipendenti che altrimenti si ritroverebbero da soli in
contesto economico che li vedrebbe impegnati direttamente come imprenditori e
non più come dipendenti.
Una proposta di legge per destinare il Fondo
unico a garanzia di credito per le aziende confiscate è venuta dalla Cgil.
“Il
problema più grande resta quello con le banche - ha precisato Casillo - ma spesso registriamo grande diffidenza nei confronti
dell’amministrazione giudiziaria, la sensazione è che diano per “cotte” le
imprese sottratte ai clan e non può essere accettabile. Creare un fondo di
garanzia potrebbe essere uno strumento utilissimo. Spesso passa troppo tempo
tra il sequestro e la confisca definitiva. E’ quel tempo il periodo più
delicato, quello in cui si crea il vuoto attorno alle aziende confiscate, con i
fornitori che si fanno pressanti e i clienti che spariscono. Occorre
intervenire, anche in termini legislativi, perché attorno alle aziende
confiscate si crei un sistema economico etico”.
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