Come membro della Commissione Ecomafie, ho deciso che da
oggi scriverò un pensiero per ogni vittima del terrorismo e delle stragi poiché
si avvicina il 23 maggio, giorno della Legalità nell’anniversario della strage
di Capaci.
Voglio iniziare col ricordo di Giuseppe Impastato detto
Peppino, la cui morte passò forse in secondo piano perché avvenne nello stesso
giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani.
Peppino nasce a Cinisi il 5 gennaio del 1948. Giovane
attivista politico, giornalista, sempre pronto a schierarsi dalla parte del più
debole, sempre in prima linea nella lotta contro ogni sopruso, affinché tutti
potessero avere gli stessi diritti: odiava la mafia, la criminalità
organizzata, proprio lui che proveniva da una famiglia in cui vi erano
esponenti mafiosi.
Peppino rimase scioccato dall’agguato che fecero allo zio
Cesare Manzella, capomafia del paese, rimasto ucciso il 26 aprile del ʾ63:
fu proprio questo brutale assassinio a spingere il giovane a non darsi pace
nella lotta alla mafia. Aveva appena 15 anni quando, con coraggio e
determinazione, ruppe i rapporti col padre e fu pertanto cacciato di casa.
L’impegno di Peppino fu fortissimo: nel 1965 ideò e fondò un
giornale L’idea socialista e aderì al
PSIUP; portò avanti una serie di battaglie sociali, come quella dei contadini
privati dei loro terreni per fare spazio alla costruzione della terza corsia
dell’aeroporto di Palermo; scioperò con gli edili, gli operai, i disoccupati.
Peppino costituì nel ʾ65 il gruppo Musica e Cultura, proprio con la volontà di diffondere un messaggio
culturale che ampliasse gli orizzonti della gente, un messaggio troppo spesso
lasciato da parte o ritenuto superfluo, inutile. Nel ʾ77 diede vita ad una radio
libera Radio Aut e fu proprio questa
la causa di maggiore fastidio per la criminalità organizzata e i politici
corrotti. Lui, infatti, attraverso il mezzo di comunicazione più utilizzato
allora, ideò programmi in cui denunciava le attività illecite della malavita di
Cinisi e Terrasini, facendosi addirittura beffe dei personaggi che vi
appartenevano, dello stesso zio Gaetano Badalamenti.
Nel 1978 si candidò nelle liste della Democrazia Proletaria
facendo una campagna elettorale contro la corruzione, il crimine. Le elezioni
si sarebbero tenuto il 14 di maggio. Fu una campagna elettorale senza peli
sulla lingua, con lo scopo preciso di attaccare la criminalità organizzata, di
aprire gli occhi della gente, svegliare le coscienze dei più deboli e
impauriti. Numerosi furono gli avvertimenti, le minacce, ma Peppino non si fece
mai intimorire.
Fu proprio lo zio a decretarne la morte: dopo essere stato
rapito nella notte tra l’8 e il 9 Peppino fu fatto saltare in aria sui binari,
imbavagliato e legato. Fu inscenato un suicidio, o meglio, un attentato mancato
per sua stessa mano: e così, ucciso dalla dinamite che aveva preparato per
fermare la ferrovia, Peppino fu diffamato nel modo più vile. Persino la procura
diede per vera questa ipotesi.
Ci sono voluti tanti anni per venirne a capo, a causa delle
prove artefatte di un caso giudiziario assai complesso. Nel 1992, il tribunale
pur ammettendo la responsabilità mafiosa ma non potendo risalire direttamente
ai colpevoli, archiviò il caso. Due anni dopo però il Centro Impastato presentò
un’istanza di riapertura dell’inchiesta chiedendo l’interrogatorio del
collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi;
nel giugno del 1996, alla luce di quanto emerso dall’interrogatorio venne
riaperta finalmente l’inchiesta e nel 1997 venne emesso un ordine di
carcerazione per Badalamenti, quale mandante del delitto.
Solo il 5 marzo del 2001 la Corte d’assise emise la sentenza
di condanna di Vito Palazzolo a 30 anni di reclusione e l’11 aprile del 2002
Gaetano Badalamenti fu condannato all’ergastolo.
Ho voluto iniziare con Peppino perché ha sempre
rappresentato un’idea di libertà e giustizia sincera. Lui, lontano dalle fosche
tinte velenose della sua famiglia paterna, così giovane eppure tanto
coraggioso, maturo.
Peppino è un martire, mai si è negato, mai si è tirato
indietro, vivendo pienamente la vita, secondo i valori dettati dalla sua coscienza.
Peppino vive ancora oggi: chi come lui ha dato la vita per la verità, non potrà
mai finire nell’oblio della morte.
On. Antonio DEL MONACO
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