Il 2 luglio del 1982 a Marano, un giovane carabiniere era
seduto davanti al negozio di famiglia, con un bambino sulle ginocchia. Sembrava
un giorno tranquillo, spensierato, ma qualcosa stava per succedere. Qualcuno
grida “Salvatore!”, e il giovane carabiniere, sentitosi chiamare, intuisce il
pericolo immediato, sposta prontamente il bambino e avviene l’agguato
camorristico: una serie di pallottole esplodenti massacrano barbaramente il suo
corpo. Salvatore Nuvoletta muore.
La motivazione di quell’omicidio fu a lungo sconosciuta,
fino a quando le confessioni del pentito Carmine Schiavone dissiparono le nubi
e i dubbi: Salvatore Nuvoletta fu ucciso per vendicare la morte di Mario
Schiavone, camorrista, colpito a morte un mese prima durante un conflitto a
fuoco con i Carabinieri della stazione di Casal di Principe. Fu dunque una
ritorsione camorristica capeggiata da Antonio Bardellino per mano del clan
Nuvoletta.
Salvatore, però, fu semplicemente un capro espiatorio perché
quel giorno di giugno egli non era in servizio e quindi completamente estraneo
ai fatti che portarono alla morte di Mario Schiavone. Dunque perché? Le
confessioni di Carmine Schiavone aggiunsero un dettaglio alla faccenda: la
madre di Mario volle che la sua sofferenza per la perdita del figlio fosse
patita anche da un’altra madre, quella di un carabiniere appunto. Fu un ordine.
E fu Francesco, detto Sandokan, cugino di Mario, che portò a termine la
sentenza di morte.
Salvatore era un uomo di Stato, un carabiniere integerrimo,
ligio al dovere, convinto della sua missione, fiero della divisa che indossava fin
da giovanissimo: era stato minacciato più volte perché dava fastidio, perché
non era un venduto, un traditore dello Stato; perché non scendeva a compromessi
con i criminali bensì dava loro filo da torcere: non si sarebbe mai arreso al
“purtroppo è così che vanno qui le cose, non farci caso”, come molti invece
fanno. La madre di Salvatore, preoccupata per il figlio, lo pregò di
allontanarsi per qualche tempo da quelle zone, nell’attesa che si calmassero le
acque; ma Salvatore, pur conscio del pericolo, decise di restare lì perché era
un Carabiniere e aveva un dovere anzitutto verso sé stesso… scappare non era da
lui. Fu trucidato dopo qualche giorno.
Il fratello, anch’esso carabiniere, saputo dell’accaduto, si
recò sul posto ma il corpo di Salvatore era già stato portato via: di lui
rimanevano tracce di sangue ovunque e brandelli di carne finiti addirittura su
un balcone nell’esplosione dei proiettili della Magnum. Una scena orribile,
impressa nella mente del fratello.
Una medaglia d’oro al valore ricorda il sacrificio di
Salvatore Nuvoletta, che, come tanti altri uomini in divisa, non si tirò indietro,
scegliendo la strada del coraggio, del bene e della verità.
On. Antonio DEL MONACO
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